La raccolta dell'obolo
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- Creato 16 Agosto 2015
- Pubblicato 16 Agosto 2015
Qualche settimana fa ero in Italia, in macchina da solo e mi divertivo a fare zapping alla radio. Mi sono cosĂ imbattutto in una trasmissione dove veniva intervistato un tizio che aveva girato una serie tv "in casa", messa su web e ottenuto un numero mirabolante di accessi.
Essendo arrivato a trasmissoine quasi finita, non ho capito né il nome della serie né il nome dell'intraprendente filmaker in questione. Forse tutto era giá stato sviscerato, ma di certo la parte che stavo ascoltando altro non era che una sorta di intevista promozionale.
Bene, ho pensato. Fa piacere sapere che, in un paese dove sempre ci si lamenta che per i giovani creativi non c'Ă© spazio, presentarsi con un prodotto finito fatto "in casa" puĂł aprire porte insperate fra gli addetti ai lavori. Naturalmente, sbagliavo.
Il lancio promozionale, infatti, non era rivolto a case di produzione o agenzie di rappresentanza. Il fine ultimo non era trovare finanziatori di professione. Il fine ultimo era la raccolta dell'obolo. In chiusura di trasmissione, infatti, gli ascoltatori venivano invitati a supportare il progetto con piccole cifre (uno, due euro), una sorta di versione virtuale del cappello usato dagli artisti di strada.
Tralasciando il banale discorso sulla considerazione di cui godono in Italia le professioni artistiche (un'amica musicista di professione ama raccontare che quando spiega agli sconosciuti che lei nella vita suona "per mestiere", nove volte su dieci si sente rispondere "Ok, suoni uno strumento. E poi?"), questo piccolo anedotto fotografa perfettamente l'occhio deformante con cui i cosidetti nuovi mezzi di comunicazione vengono normalmente percepiti.
Forse questa serie TV su web Ă© un bluff. Forse questo filmaker tanto sprovveduto non era, tanto da avere i giusti "agganci" per passare in radio a livello nazionale. Forse il fatto che il suo lavoro sia piaciuto agli internauti non significa che piacerebbe a un pubblico piĂş vasto e generalista. Ma il punto chiave non Ă© nessuno di questi, bensĂ la testardaggine nel pensare che il massimo del potenziale economico e imprenditoriale del canale internet e delle cosidette nuove tecnologie sia il proprio piccolo orticello di casa, dove racimolare qualche rimborso spesa qua e lá, senza neppure nessuna pretesa di vedere l'uso del proprio tempo ripagato (perchĂ© in fondo, "a fare quelle cose lĂ, anche ci si diverte").
L'idea che si possano sfruttare i nuovi mezzi di comunicazione per fare piccola e grande imprenditoria sembra ancora lontanissima. Leggevo giusto ieri un articolo che citava gli informatici fra le figure professionali peggio retrubuite in Italia nell'ambito dei laureati in facoltá non umanistiche. In Italia, l'economia é ancora visto come un grande carro trainato da grandi investimenti industriali e da un esercito di formichine che sopravvivono con il suo indotto. L'ipotesi che su questo carrozzone si possano ritagliare spazi sempre piú ampi per mix di creativitá, tecnologia e investimenti é fantascienza. Chi vuole un lavoro vero vada in fabbrica, ma chi ha il vezzo della creativitá non si abbatta: per lui rimane sempre da giocare la carte dell'elemosina.
(g.f.)
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