Linfomi, con terapia di prima linea guarisce il 60% dei pazienti con forma aggressiva
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- Creato 03 Maggio 2025
- Pubblicato 03 Maggio 2025
ROMA, 03 mag. - Ogni anno in Italia si stimano circa 15.500 nuovi casi di linfoma (13.271 per il linfoma non Hodgkin e 2.218 per il linfoma di Hodgkin nel 2024). Oggi è possibile parlare di guarigione per una percentuale significativa di pazienti colpiti da linfoma diffuso a grandi cellule B in stadio avanzato, una forma aggressiva di linfoma non Hodgkin caratterizzata dalla rapida crescita dei linfociti B.
Il 60% delle persone trattate con la terapia di prima linea guarisce. E grazie all'immunoterapia, oggi anche la metà dei pazienti che non rispondono più alla prima linea di trattamento guarisce. Prima dell'arrivo di queste cure innovative, invece, la sopravvivenza di questi pazienti era di circa 6 mesi. Buone notizie di cui si parlerà il 9 e 10 maggio a Roma, durante la seconda edizione del convegno internazionale 'The Lymphomas Conference' con i più importanti esperti da tutto il mondo per fare il punto sulla biologia e il trattamento di tutti i tipi di linfomi.
Sono promettenti - sottolineano gli specialisti - anche i risultati della ricerca sulle nuove immunoterapie, posizionate in prima linea, per trasferire questi risultati in pazienti mai trattati in precedenza. La prospettiva di anticipare l'immunoterapia in prima linea potrebbe infatti incrementare significativamente la percentuale di pazienti guariti. Un'ulteriore nuova frontiera è costituita dalla caratterizzazione molecolare del linfoma diffuso a grandi cellule B, che mira alla medicina di precisione assoluta cioè, tramite indagini diagnostiche approfondite, a identificare quale sia la terapia migliore per il singolo paziente. Il test per eseguire questo tipo di caratterizzazione tuttavia è molto sofisticato e disponibile solo in pochi centri di riferimento e si sta cercando di trovare il modo di rendere tali informazioni genetiche fruibili nella pratica clinica. Molto importanti anche i risultati ottenuti dalla ricerca nel linfoma di Hodgkin, con quasi il 90% dei pazienti vivo a 5 anni, che costituisce uno dei maggiori successi dell'oncologia moderna.
Il convegno capitolino è organizzato dall'Unità di Ematologia e Trapianti dell'Irst 'Dino Amadori' Irccs di Meldola e ha il patrocinio di Ail (Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma), Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), Fil (Fondazione italiana linfomi), Gitmo (Gruppo italiano per il trapianto di midollo osseo, cellule staminali emopoietiche e terapia cellulare), Sie (Società italiana di ematologia) e Sies (Società italiana di ematologia sperimentale).
"I linfomi non Hodgkin costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie ematologiche che originano dai linfociti B o T e possono avere un comportamento indolente o aggressivo - spiega Gerardo Musuraca, direttore dell'Ematologia e Trapianti all'Irst Dino Amadori e presidente del convegno insieme a Nicola Normanno, direttore scientifico dell'Irst - I linfomi diffusi a grandi cellule B sono i più frequenti in Occidente e rappresentano circa un terzo dei casi di linfoma non Hodgkin. Siamo di fronte a una svolta nella cura di questa malattia e a prospettive senza precedenti. La prima linea di terapia è costituita dalla immunochemioterapia, che è in grado di curare circa il 60% delle persone, ma, nei pazienti ricaduti o refrattari, è oggi disponibile l'immunoterapia che ha rivoluzionato la prognosi e la sopravvivenza. Oggi circa la metà del 40% di pazienti che falliscono la prima linea e che un tempo avevano scarse possibilità di sopravvivenza può essere curata e guarita attraverso la terapia cellulare con Car-T, con gli anticorpi bispecifici e con le nuove immunoterapie, come gli anticorpi coniugati con veleni cellulari".
In Italia - ricorda una nota - le Car-T sono già approvate e utilizzate dalla seconda linea di terapia e si basano sui linfociti del paziente, modificati geneticamente, che vanno a colpire direttamente il tumore. Gli anticorpi bispecifici sono invece disponibili dalla terza linea in poi e agiscono come una 'calamita' tra la cellula malata e i linfociti T del paziente, scatenando la risposta antitumorale. "Sono in corso, inoltre - continua Musuraca - studi con anticorpi bispecifici anche in seconda linea, che potenzialmente potrebbero rivoluzionare ulteriormente le opzioni terapeutiche. Questo perché tale approccio ha il potenziale per migliorare gli importanti risultati già ottenuti con le Car-T, ma con una migliore maneggevolezza e tollerabilità , avendo la caratteristica, i bispecifici, di poter essere associati tra loro o con la chemioterapia. Se i risultati delle sperimentazioni saranno confermati da follow-up più lunghi, sarà possibile utilizzare gli anticorpi bispecifici anche prima delle Car-T o come 'ponte' verso la terapia con Car-T. Infine, le suddette terapie innovative, si stanno sperimentando anche nell'associazione con la tradizionale immunochemioterapia in prima linea (bispecifici+chemioterapia) o addirittura con la sostituzione della stessa, a favore di una immunoterapia Car-T, in prima linea senza chemioterapia. Rimarrà comunque, nel futuro, necessario unire alla grande efficacia dell'immunoterapia la scoperta di marker genetici o genomici, che consentano di individuare la terapia migliore per il singolo paziente".
(adnKronos)
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