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Sabato, 27 Luglio 8:12:am

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Paritá

JakobsdottirKatrin1La notizia é comparsa sui media islandesi ed é immediatamente rimbalzata su quelli italiani: se la proposta attualmente in discussione nel parlamento islandese verrá convertita in legge (come tutto lascia supporre), l'Islanda sará la prima nazione al mondo ad obbligare il datore di lavoro a produrre documentazione che provi l'assenza di elementi discriminanti nella determinazione del salario.

La notizia é stata peró riportata in modo inesatto: tutti i giornali italiani hanno scelto, infatti, di mettere l'accento sulla paritá di genere, mentre la proposta di legge parla di qualunque genere di discriminazione (non solo genere, quindi, ma anche, ad esempio, religione, nazionalitá, orientamento sessuale).

Piú di un'amica mi ha girato il link chiedendomi conferma e informazioni su quale sia la situazione ora in temini di paritá uomo donna sul luogo di lavoro. Naturalmente posso rispondere solo in base alle statistiche ufficiali e alla mia esperienza personale in ormai quasi sette anni di permanenza qui.

I numeri dicono che una totale paritá non c'é ancora. Tempo fa venne indetto una forma di sciopero piuttosto anomala, in cui tutte le donne vennero invitate a lasciare il posto di lavoro alle 14 e 38, cioé 1 ora e 22 minuti la fine del normale orario di lavoro. Questo perché questo lasso di tempo rappresenterebbe quella parte di busta paga mancante, in media, rispetto ai colleghi uomini (a paritá di lavoro e ruolo).

Non so esattamente come queste statistiche vengano calcolate (esistono infatti variabili come professionalitá, bonus, trasferte all'estero, che non sono facilmente quantificabili in un semplice rapporto in base al genere), ma di certo il problema da queste parti é sentito e questo spiega perché un Parlamento mai cosí eterogeneo come quello attuale abbia sentito il bisogno di intervenire.

In base alla mia esperienza di immigrato, devo dire che la percezione di una disuguaglianza non é cosí nitida, soprattutto se rapportata a quella che invece avevo quando abitavo in Italia.

Nella mia esperienza lavorativa qui in Islanda, non mi é mai capitato di vedere o sentire discriminazioni in base al genere. Non so ovviamente gli stipendi dei miei colleghi per poterne essere certo rispetto al salario, posso peró testimoniare in prima persona che, in un momento in cui per congiuntura e circostanze, si era creata una disparitá di numero di impiegati fra uomini e donne, venne ufficialmente promesso che si sarebbero privilegiate donne nelle prossime assunzioni, per bilanciare lo squilibrio (una sorta di quote rose aziendali). Promessa poi in effetti mantenuta.

Se dall'esperienza personale passo a quella riportata da terzi, la conclusione non cambia. Non sono al corrente di donne che si sentano vittime di discriminazione, o che almeno se ne lamentino pubblicamente. Non ho mai sentito di ricatti per donne in gravidanza. Non ho mai sentito di ruoli di responsabilitá ritenuti a totale appannaggio di uomini in quanto tali.

Qualche nube in piú, invece, riguarda quello che sui media italiani non é stato minimamente citato. Cioé una forbice in termini di diritti e opportunitá per gli stranieri che, seppure in misura inferiore rispetto all'Italia, esiste. Non sto parlando di lavori qualificati, dove la paritá é totale. Nei lavori, invece, a paga bassa, mi é capitato spesso di sentire situazioni in cui a stranieri venissero proposte condizioni al di sotto dei limiti sindacali (soprattutto a persone provenienti da paesi in cui i diritti sindacali e condizioni contrattuali sono di norma di gran lunga peggiori di quelli islandesi). Viceversa, ai tempi della crisi finanziaria che fece salire la disoccupazione a livelli, da queste parti, sconosciuti, capitava spesso di leggere annunci in cui veniva richiesta la conoscenza della lingua islandese per lavori in cui prima (e ora, a crisi occupazionale alle spalle) l'inglese era considerato sufficiente, ragionevolemente in linea con il ruolo proposto. Un modo piuttosto elegante per favorire gli indigeni e gli immigrati di lunga data e che scoraggiava l'immigrazione in tempo di crisi.

Stesso discorso sul sommerso. Il fenomeno é davvero ridotto se paragonato a quanto avviene in Italia, ma a livello fisiologico esiste. E normalmente si appoggia piú sugli immigrati che sugli islandesi, ben consapevoli dei propri diritti e con molte alternative nel magico mondo del lavoro a bassa disoccupazione.

Bene quindi la legge e bene anche rimarcare la politica per la paritá di genere che il Parlamente islandese sta portando avanti. Un maggior approfondimento, peró, sugli obbiettivi che questa legge ambisce a raggiungere sarebbe stato legittimo attenderselo dai giornali italiani. Un altro mondo é possibile, sembra dire la proposta islandese. Ma non solo per le donne, per tutto il genere umano.

(g.f.)


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