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Bufale islandesi

Islanda Reykjavik Vista4Se paragonata alla sua dimensione, densità di popolazione e posizione geografica, l'Islanda gode di un'attenzione davvero smisurata da parte della stampa italiana.

I primi articoli sono cominciati qualche mese dopo il crollo dell'intero sistema bancario, nell'ottobre 2008. Parlavano di una sorta di Isola che non c'è, dove i banchieri marcivano in galera, il debito pubblico rinnegato, il Fondo Monetario Internazionale cacciato con i forconi, la costituzione riscritta via web.

Non erano altro che suggestioni, notizie mal riportate, amplificate e alterate a uso e consumo di una tesi semplicistica da sostenere, cioè che il debito pubblico sia un problema facilmente bypassabile attraverso proteste di piazza e strumenti di democrazia diretta (per chi fosse interessato a cosa è realmente accaduto, consiglio questo ottimo articolo uscito su internazionale qualche mese fa).

Quando, nell'aprile 2013, le elezioni politiche hanno riportato al potere la stessa coalizione di governo che aveva contribito al collasso finanziario, la distorsione della realtà si è spostata dalla finanza alla politica. Essendo infatti i due partiti conservatori contrari da sempre all'adesione all'Unione Europea, è cominciato il nuovo mantra del popolo islandese che ha detto no all'Europa delle lobbies finanziarie.

In realtà, la campagna elettorale si è combatttuta soprattutto su tasse, condizioni di rinegoziamento di mutui e vecchie diatribe con Olanda e Inghilterra per debiti pregressi contratti dal sistema bancario islandese prima della sua nazionalizzazione del 2008. Il tema Europa è stato lasciato ai margini, con la promessa dal parte del futuro premier Sigmundur Davíð Gunnlaugson, di indire un referendum per decidere se continuare o meno i colloqui per l'ingresso dell'Islanda nell'Unione Europea, iniziati dal precedente governo. Promessa rimangiata subito dopo la vittoria elettorale, con la decisione unilaterale di interrompere qualunque negoziato. In realtà, nel paese che avrebbe detto orgogliosamente no alla perdita della propria sovranità monetaria, si svolgono da mesi periodiche proteste davanti al Parlamento per chiedere non tanto l'adesione all'Unione Europea, ma il referendum a suo tempo promesso.

A macchiare l'immagine di paese allegorico ci ha pensato, peró, nei giorni scorsi un'intervista de Il fatto quotidiano a una coppia di italiani che lavora in una delle serre nella parte Sud dell'Islanda. Intervista in cui l'Isola che non c'é si é trasformata immediatamente in una sorta di girone dantesco: ogm a tavola (é vero che qui non sono banditi, ma questo non vuol dire che tutti li pratichino), pesticidi nelle fogne (non ho notizie di questo e mi sembra piuttosto strano, perché in termini di sicurezza e condizioni di lavoro l'Islanda recepisce le norme europee), lavoro nero (che magari esisterá pure in qualche isolato contensto, ma, in base alla mia esperienza diretta e a quelli dei miei conoscenti, non é assolutamente la regola) e una serie infinita di luoghi comuni piú o meno allo stesso livello di italiani = pizza e mandolino.

Secondo Repubblica, invece, Reykjavík sarebbe il paradiso del fotovoltaico (di cui non vi é invece traccia) e della pale eoliche (tutt'altro che diffuse) e il trasporto pubblico si baserebbe sull'idrogeno (mentre in realtá va in gran parte a gasolio e un po´ a metano. Il progetto degli autobus a idrogeno fu tentato qualche anno fa, ma ora é abbandonato).

E per non farsi mancare nulla in termini di bufale, ci ha pensato infine il governo italiano a dare l'ultimo tocco. Fra i risparmi della spending review, ha infatti annunciato la chiusura dell'ambasciata italiana d'Islanda. Peccato che a Reykjavik non esista nessuna ambasciata e l'intera isola sia sotto la giurisdizione di Oslo. Ció che esiste é un minuscolo consolato onorario, con uno staff composto da una sola persona (il console stesso, di nazionalitá islandese), disponibile per quattro ore alle settimana a svolgere il lavoro di ordinaria amministrazione. In pratica, il costo di un ufficietto neanche troppo centrale, una linea telefonica e un cellulare. Niente a che vedere, naturalmente, con i risparmi astronomici che la propaganda governativa lasciava presagire.

Insomma, vivendo qui e leggendo quanto scrivono i giornali italiani, non si sa bene se sorridere, arrabbiarsi o limitarsi a scuotere la testa. Nella consapevolezza tutt'altro che rassicurante che, se tanto mi dá tanto, farei davvero bene a contare fino a dieci prima di credere acriticamente a quanto leggo ogni giorno su argomenti che non conosco.

(g.f.)


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