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Narrativa italiana migrante fra scelte d'amore, integrazione e salvezza. Al Diocesano ne hanno parlato Papa Khouma Elvira Mujcic e Sabrina Efionayi

Mantova Festivaletteratura Efionayi-Mujcic-KhoumaMANTOVA, 09 set. – Per Papa Khouma, scrittore di origini senegalesi, l'italiano è la lingua dell'amore, quella che scelto per scrivere. Per Elvira Mujcic, autrice e traduttrice di origini bosniache, la lingua italiana ha rappresentato la lingua della salvezza e dell'integrazione. Mentre per Sabrina Efionay, nata in Italia da madre nigeriana e affidata a una famiglia di Napoli, l'italiano è la lingua con cui è nata, che non ha dovuto scegliere, perché non aveva alternative.

Tre prospettive, tre punti di vista espressi nel chiostro del Museo Diocesano da tre scrittori esponenti di quella che viene definita narrativa italiana migrante.

Una definizione che la moderatrice dell'incontro, la italo romena Georgiana Ursache, ha riproposto agli autori, rappresentanti di tre momenti generazionali diversi, cercando di capire se vi ci si ritrovassero e cosa rappresentasse per loro la scrittura in lingua italiana. Papa Khouma, quello "più ricco di anni", ha spiegato come per lui scrivere in italiano abbia rappresentato "una scelta d'amore, perché è stata questa la lingua che ho scelto per scrivere. L'italiano è la lingua dell'amore, il francese, per me, quella della rabbia e il wolof è la lingua delle necessità e della primordialità. L'italiano ho iniziato a impararlo 26 anni fa, per strada, perché quando sono arrivato qui non volevo fare lo scrittore, ma mi sono reso conto che dovevo utilizzare l'italiano se volevo dialogare ed era necessario dialogare con gli italiani per integrarsi. Scrivevo per dialogare con le persone con cui ho scelto di vivere". E così sono arrivati libri come Io, venditore di elefanti e Noi neri italiani.

Per Elvira Mujcic, arrivata in Italia a 14 anni dalla ex Jugoslavia in guerra, imparare l'italiano ha rappresentato una necessità per "accedere a un mondo nuovo per me. Scrivo in italiano, ma di altri mondi. Per questo non saprei se la definizione di letteratura migrante mi calza o meno, perché una definizione è ferma mentre la letteratura è in continuo movimento. Quello che non mi piacerebbe è che definissero la mia letteratura come stanziale".

La più giovane del gruppo, Sabrina Efionayi, ha invece spiegato bene come l'essere nata in Italia da madre nigeriana e poi essere affidata a una famiglia di Napoli abbia fatto in modo che per lei "scrivere in italiano rappresenta la regola, la normalità, non ho dovuto sceglierlo perché non parlavo altre lingue". La giovane scrittrice di origini nigeriane si è poi soffermata su un'altra definizione, quella delle 'nuove generazioni' che, si sente spesso dire, rappresentano il futuro: "Io non mi sento il futuro, ma il presente e nel presente devo agire".

Sempre a proposito della lingua e di alcune parole intraducibili da una lingua all'altra, Elvira Mujcic ha ricordato un episodio del suo ritorno in Bosnia dopo dieci anni dall'arrivo in Italia: "Certe parole si dimenticano, così quando un giorno alla fermata del bus una signora per rispondere a una mia domanda sugli orari degli autobus per Mostar iniziò con 'Dusha moya', che più o meno vuol dire 'mia cara' n termine usata dalle nonne, mi sono commossa perché non ne avevo più memoria".

Papa Khouma ha affermato che nei suoi libri mette appositamente alcune parole in wolof, per rendere maggiormente il senso dell'ambientazione, "ma i dialoghi che si svolgono in wolof fra le pesone in Senegal li metto in italiano, anche se nella mia mente li penso mentre si svolgono in wolof".

PiĂą complesso il rapporto con la lingua della madre nigeriana per Sabrina Efionay, di cui parla anche nel libro Addio, a domani: "Il fatto che mia madre non me l'abbia mai insegnata ha rappresentato una sorta di barriera fra me e mia madre". 

Emanuele Salvato 

 

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