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Il Vescovo di Mantova, Marco Busca nel messaggio di Pasqua: 'urgente ridefinire il senso e riscoprire il valore delle parole'

VescovoBuscaMarco2Proponiamo di seguito il messaggio pasquale del vescovo di Mantova, Marco Busca:

"Non è scontato augurare: buona Pasqua. Due parole che, usate e abusate, rischiano di apparire un guscio vuoto. Eppure, mai come in questo tempo, è urgente ridefinire il senso e riscoprire il valore delle parole. Soprattutto di quelle più semplici e abituali. Il mio desiderio, quindi, è di dare contenuto – e un contenuto cristiano – a questo augurio tradizionale. Un servizio essenziale nei confronti dell'uomo, infatti, rimane quello di trasmettere significati, aprendo gli scrigni della verità.

In un antico inno pasquale, la risurrezione di Gesù Cristo viene paragonata allo spuntare della luce mattutina che, dopo il buio del Venerdì e del Sabato Santo "colmi di sofferenza e di morte", sorge come tempo nuovo segnato dalla stabile presenza del Vivente nel cuore della storia.

Durante la veglia pasquale, dinanzi al fuoco che arde nella notte, vengono incisi alcuni segni sul cero che, di lì a poco, verrà acceso, quale segno di Cristo, luce del mondo. Tra le lettere alfa e omega – la prima e l'ultima dell'alfabeto greco – che rappresentano il principio e il compimento di ogni cosa, vengono tracciate le cifre che indicano l'anno in corso. A significare che Cristo è il risorto e, allo stesso tempo, il risorgente. Il fulcro del messaggio dirompente della Pasqua è proprio questo: il Risorto abita il tempo e gli spazi della nostra esistenza.

«Fintantoché esiste un credente bisogna che, per essere divenuto tale, egli sia stato, e che, come credente, egli sia contemporaneo alla presenza di Cristo» (Søren Kierkegaard). Esistiamo, spesso senza accorgercene, in contemporaneità con Dio. Se Gesù di Nazareth fosse solo l'oggetto di uno studio storico o di un ricordo devoto verso un personaggio esemplare da imitare, l'umanità potrebbe intrattenere con lui un mero rapporto di curiosità e ammirazione. Ma l'uomo-Dio è il Vivente, che condivide i giorni, i progetti e i destini di ogni generazione.

Questo "nostro" tempo ci è consegnato, non per evadere dalla storia, ma per abitarla e orientarla. La risurrezione non rappresenta l'evaporazione di Cristo dal mondo e, pertanto, ad essa non può corrispondere l'evasione dei cristiani dalla storia. Un grande credente, il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, sosteneva che «la fede nella risurrezione non rimanda nell'aldilà, ma nell'aldiquà». Scambiarsi l'augurio di una "buona Pasqua" significa allora augurarsi vicendevolmente una doppia fedeltà: al Risorto e alla storia, perché è nei cantieri feriali in cui si costruisce la vita umana che Cristo ora si trova.

I credenti sono "uomini di frontiera", persuasi che la Pasqua, poiché realizza la vittoria sulla morte, apre l'affaccio sull'eternità. Questa dimensione non è però oltre il tempo, è inaugurata nel tempo. Difficile equilibrio tra cielo e terra, ma indispensabile, se non si vuole incorrere nel rischio di essere «cristiani che stanno sulla terra con un solo piede e staranno con un solo piede anche in paradiso» (D. Bonhoeffer). Come Cristo anche il cristiano è un uomo contemporaneo. Non moderno, nel senso che segue ed è asservito alle mode. Ma un uomo del presente, che serve il suo tempo. A sostenerlo e guidarlo è la fede in un Dio riconosciuto come il "Signore del tempo" che, nella risurrezione del proprio Figlio, interseca la finitezza del tempo umano con la sua eternità divina.

Il cristiano, dunque, non può maledire o disinteressarsi del suo tempo. Neppure di quello cattivo, che lascia la sensazione di un'apparente impotenza ad agire per cambiarlo, anche questo tempo gli appartiene. Anche lì, nel cuore delle situazioni più sofferte e assurde, il potere della croce può ribaltarne le sorti.

Le nostre esistenze sono misteriosamente poste sotto lo sguardo invisibile e benefico di Dio. Possiamo scorgere le tracce della sua presenza disseminate nelle nostre giornate, quando si affaccia con il volto del compagno di umanità. In lui, ci provoca a compiere il gesto creativo della carità, chiamandoci a trasformare in autentica prossimità le tante vicinanze che viviamo ogni giorno. Questi attimi di autentica pietà per tutto ciò che è umano coincidono, di fatto, con la pura accoglienza di Dio e si trasformano in eternità. Un singolo frammento d'amore, dunque, ha il potere di farci entrare in diretta comunicazione con il mistero santo di Dio. È un atto di trascendimento di sé stessi che si compie nel silenzio, lontano dal clamore e, forse, per parecchie persone senza attribuirgli un particolare valore religioso.

In un tempo in cui i fili della storia appaiono mossi dalle mani pericolose di uomini irresponsabili e asserviti alle nuove idolatrie del potere, l'ora presente ci affida un compito. Ai credenti è chiesto di permanere nella contemporaneità di Cristo. A tutti gli uomini e le donne pensanti e capaci di giudizio etico è richiesto di essere contemporanei ai loro fratelli e sorelle. Se per coloro che vivono nella fede cristiana queste due contemporaneità coincidono, per tutti vale il principio concreto di abitare il presente come l'ora più significativa della storia.

Il mattino di Pasqua segna l'ora della responsabilità di Dio per noi e con noi. E, da quell'istante in poi, ogni istante ci interpella. Vi sono possibilità di risurrezione e frammenti di eternità sparpagliati nell'oggi a cui non possiamo rinunciare. Come quello vissuto in una Unità Pastorale della nostra diocesi, in cui la comunità si sta preparando ad accogliere una famiglia afgana, profuga da dieci anni, con una bambina disabile. Anche così viene la Pasqua".


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