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Tunnel carpale, patologia molto diffusa in Italia. Diverse tipologie di intervento tra cui quello chirurgico

Medico Ortopedico2ROMA, 27 feb. – La sindrome del tunnel carpale è una patologia che può arrivare a colpire fino a una persona su 10 in Italia e può richiedere diverse tipologie di intervento terapeutico tra cui quello chirurgico.

Tra i fattori di rischio si possono annoverare malattie rare ma anche il Covid-19: sono alcune delle conclusioni di scienziati del Campus di Roma dell'Università Cattolica e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS diretti da Luca Padua, Associato in Medicina Fisica e Riabilitativa alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università Cattolica e Direttore della UOC di Neuroriabilitazione ad Alta Intensità della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS che fanno il punto sulla patologia in un lavoro pubblicato su The Lancet Neurology.

"Oggi – spiega il professor Padua – abbiamo acquisito approcci diagnostici sempre migliori e anche sistemi ecografici vengono in nostro aiuto, ma sono ancora tante le domande che ci poniamo su questa sindrome". Il tunnel carpale è un problema estremamente diffuso: si tratta infatti della più comune neuropatia da intrappolamento, con un certo impatto quindi sul SSN in termini di costi.

"La sindrome consiste in una sofferenza del nervo mediano a livello del suo passaggio nel tunnel carpale, cioè al polso. Attraverso meccanismi di tipo traumatico o infiammatorio si può verificare un aumento della pressione all'interno di questa struttura anatomica che può provocare un danno del nervo. Questa patologia insorge più frequentemente con una sintomatologia notturna, caratterizzata da parestesie e dolore alla mano, con possibile irradiazione prossimale, ovvero all'avambraccio ed al braccio. Con il tempo tali sintomi compaiono anche di giorno, spesso in seguito ad utilizzo prolungato della mano e talvolta con una localizzazione delle parestesie alle prime tre dita. Nei casi più gravi si rileva una perdita di sensibilità e deficit di forza della mano. Secondo alcuni studi spesso si rende necessario il trattamento chirurgico – sottolinea Padua – per quanto non ci siano dati certi in merito, è probabile che un eventuale aumento dei casi si registri in specifiche popolazioni di individui, per esempio nei soggetti più anziani o in chi soffre di alcune malattie rare". La patologia si presenta con maggiore frequenza negli individui di età compresa tra 50 e 54 anni, seguiti da quelli di età compresa tra 75 e 84 anni.

"Anche il Covid-19 può contribuire all'insorgere di questa sindrome – sottolinea il professore – secondo due casi clinici che sono stati descritti da un gruppo di ricerca italiano (Università di Modena e Reggio Emilia, e pubblicati su Medical Hypotheses). Il meccanismo ipotizzato è quello di una reazione infiammatoria delle cartilagini scatenata dal virus, con conseguente compressione del nervo mediano al livello del polso. Tuttavia, si tratta al momento di un dato troppo esiguo per poter affermare che esista una relazione causale tra Covid-19 e sindrome del tunnel carpale. Le evidenze scientifiche disponibili non hanno definito con sicurezza se l'uso prolungato delle tecnologie rappresenti un fattore di rischio per sindrome del tunnel carpale. È verosimile tuttavia che l'utilizzo prolungato di device come lo smartphone possa predisporre alla sindrome del tunnel carpale, come dimostrato in alcuni recenti studi su piccole popolazioni. Gli interventi chirurgici e non chirurgici sono utili per il trattamento della sindrome del tunnel carpale e sono ora disponibili diverse opzioni di cura, che forniscono ai medici la possibilità di scegliere l'approccio migliore personalizzandolo per ogni paziente. Ciò nondimeno, le evidenze della letteratura suggeriscono che il primo passo nel trattamento della sindrome è non chirurgico (di tipo conservativo), iniziando con l'informazione e l'educazione del paziente, seguito dall'uso di splint (tutori che, limitando i movimenti di del polso, riducono le sollecitazioni a livello del polso) e dalle iniezioni di corticosteroidi. La chirurgia dovrebbe essere riservata alle compressioni più gravi e in fase più avanzata".

(askanews)


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