Un futuro per donne

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TrumpDonald3Al contrario di quanto il forte orgoglio nazionale potrebbe far pensare, l'Islanda é un paese molto americanizzato.

Gran parte della cultura e dell'intrattenimento mainstream é importata dagli USA, lo junk food stile Yankee é popolarissimo e non solo fra i piú giovani, come popolare é la trasferta americana da teenager per affinare la padronanza della lingua inglese. Lingua giá in partenza contaminata da un forte accento americano assorbito dalla televisione, dove i film e serie sono trasmesse in lingua originale. Le metropoli dell'East coast sono le preferite per il turismo mordi e fuggi, che spesso si concretizza in vere e proprie corse allo shopping selvaggio.

Perfino il welfare, marchio di fabbrica dei paesi scandinavi, in Islanda é piú contaminato che altrove dal mito americano della maggiore efficienza del privato rispetto al pubblico.

Esistono ragioni storiche per questo: durante la seconda guerra mondiale, l'isola fu sottoposta a controllo militare americano per cinque anni e nei sessant'anni successivi un contingente rimase sul territorio, influenzando culturalmente la vita quotidiana di un popolo che, per secoli, aveva vissuto in condizione di isolamento. Il risultato é la sensazione, degli Stati Uniti visti, o forse meglio, vissuti, come una sorta di genitore adottivo. Un modello da cui attingere una modernitá da integrare con la tradizione, cosí forte e radicata, anche nelle generazioni piú giovani.

Per questo, la politica americana é molto seguita, piú che in Italia. Durante l'ultima campagna elettorale, so di persone che hanno fatto le ore piccole per seguire in diretta il confronto Clinton-Trump. E, paradossalmente, fra le chiacchiere sul lavoro si é parlato piú delle elezioni americane che di quelle islandesi, tenutesi solo dieci giorni prima.

Proprio in virtú di questo profondo interesse, la vittoria di Trump non ha lasciato indifferenti. Pur senza eccedere (al contrario dell'italiano medio, l'islandese non ama sbilanciarsi troppo nelle discussioni), ho sentito parecchie persone, anche qualcuno che nelle elezioni locali sostiene la destra, piuttosto incredule, quasi infastidite. Ma piú che le sparate di Trump sull'immigrazione, sui musulmani, la censura su internet, la derisione a un disabile, la negazione dei cambiamenti climatici (anche se, a queste latitudini, chi ha piú di 30 anni sa bene si cosa si parla...) il punto piú caldo nei commenti post-elezioni é stato la misoginia dimostrata da Trump durante tutta la campagna elettorale.

Questo perché qui il rispetto, quanto meno formale, della donna é dato per scontato. Non che non esistano in assoluto discriminazioni (recentemente, per protestare contro la differenza di salario medio per genere, le donne islandesi hanno incrociato, per un giorno, le braccia alle 14 e 38, l'ora in cui dovrebbero smettere ogni giorno di lavorare per avere una paritá di trattamento economico), ma in misura molto minore che in Italia e, presumo, negli USA. Non é un caso se una donna é stata presidente d'Islanda per ben sedici anni e un'altra ha guidato il paese in un momento cruciale come il post-crisi del 2008. L'idea che una donna possa fare quello che fa un uomo, con gli stessi risultati, sembra piuttosto radicato nella mentalitá dominante. 

E io, che da straniero che nel proprio paese ha spesso letto e, alcune volte assistito, in prima persona a episodi rilevanti di discriminazione di genere, nel momento del trionfo trumpiano ho trovato consolazione e un po' di speranza davanti alla diffusione di questa indignazione, che magari sará anche espressione di un politicamente corretto molto in voga da queste parti, ma comunque rende ottimisti per il futuro. Soprattutto pensando a mia figlia, che sará adulta nei prossimi anni trenta, e ha ancora qualche possibilitá di essere rispettata come individuo, e soprattutto, come donna. Qualunque cosa decida di fare nella vita, forse essere donna non sará un vantaggio, ma non sará neppure un ostacolo insormontabile. A prima vista puó sembrare poco, perché dovrebbe essere scontato. Ma se ci guardiamo bene attorno, viene da pensare che, purtropppo, potrebbe anche essere tanta roba.

Gabriele Falco


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