Una serie, un libro e una canzone: su Netflix c'è Ratched dove i belli sono cattivi e i brutti no

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serie Ratched1Eccoci a un nuovo appuntamento con libri, musica e serie tv. Nonostante l'anno nuovo, le possibilità di svagarsi fuori casa sono ancora quasi inesistenti, vale dunque la pena concentrarci sui piaceri domestici, tra cui binge watching su Netflix, romanzi divorati in un solo giorno e tanta musica che fa da sottofondo alle routine casalinghe.

Oggi voglio iniziare col parlarvi dell'ultima serie tv che ho visto su Netflix: "Ratched". Devo confidarvi che nella galleria del cellulare ho una cartella in cui raccolgo i (tele)film che catturano la mia attenzione e che poi vado a ripescare a distanza di mesi o anni, sostanzialmente quando ho tempo e voglia di vederli.

"Ratched" è uno di questi: qualche mese fa avevo visto l'estratto di una puntata, screenshottato il nome della serie e quando mi ci sono imbattuta ho pensato che sarebbe stata perfetta come prima serie dell'anno. Non mi sbagliavo. In giorni di torpore post abbuffate e pigiama h24, devo ammettere che mi ha dato un grande scossone. Cosa balza subito agli occhi? I colori sgargianti degli outfit e della scenografia che contrastano con il buio della mente umana. Oggi parliamo del male, e lo facciamo partendo da una serie tv in cui i belli sono i cattivi, mentre i brutti, quelli malformi e sfigurati, sono i buoni. Questo è un interessante capovolgimento della realtà, che pone l'accento sul concetto del "bello dentro" e mette in discussione l'ombroso e i caratteri estetici del criminale. Siamo nel 1947 e l'infermiera Mildred Ratched arriva in California per entrare a far parte del team di infermieri che lavorano all'interno di un centro psichiatrico, gestito dal visionario Dott. Richard Hanover, dove vengono attuate sperimentali pratiche molto cruente per curare la mente umana (come la lobotomia). Mildred si presenta con un aspetto perfetto, ma entrando sempre di più nel sistema sanitario della struttura viene a galla il vero motivo per il quale è andata a lavorare in quel luogo. E allora cambiano tutte le carte in tavola: chi è davvero il cattivo della storia? Chi incarna il male? Il personaggio che lo porta dentro o quello che lo infligge sperando di correggerlo? Il male, in questa serie tv, emerge in varie forme: manipolazioni, omicidi, violenza fisica e psicologica, ricatti, ingiustizie di ogni tipo. 8 puntate da vedere tutte d'un fiato, in un continuo domandarsi quale sarà il prossimo colpo di scena.

Passiamo ora alle letture. Come già confessato, sono una grande amante dei gialli, non solo svedesi (che reputo comunque di un livello superiore) ma anche italiani. Qualche anno fa, grazie a quelle meravigliose promozioni targate Feltrinelli che concedono 2 libri al prezzo di € 9,90, ho pescato dal cosiddetto cesto delle occasioni il romanzo "Tu sei il male" di Roberto Costantini. Devo ammettere che mi ha catturata non poco. L'ho letto d'estate, stessa stagione in cui è ambientata la storia, e forse anche questo ha fatto la sua parte. Del resto, l'estate è la stagione migliore per leggere i gialli, come cantano i Baustelle "in ogni morte trovo che un po' d'estate in fondo c'è". Il male di questo romanzo ha la "m" maiuscola. La storia inizia a Roma, l'11 luglio 1982, la sera della vittoria italiana ai mondiali, quando Elisa Sordi, giovane impiegata di una società immobiliare del vaticano, scompare nel nulla. Le indagini vengono affidate all'arrogante e svogliato Michele Balistreri, che inizia a prendere seriamente il caso solo quando il corpo della giovane viene ritrovato nel Tevere. Il caso, tuttavia, rimane insoluto. La storia avanza: siamo sempre a Roma, è sempre la sera della vittoria degli azzurri ai mondiali, ma l'anno è il 2006. Giovanna, la madre di Elisa, si uccide gettandosi dal balcone. Balistreri, che nel frattempo ha fatto carriera e tiene a bada i suoi demoni a forza di antidepressivi, decide di riaprire il caso, in preda ai sensi di colpa per la morte dell'anziana donna. Ed ecco che per arrivare alla verità, Balistreri dovrà affrontare il Male in tutte le sue più peggiori sfumature.

"E, sai, sto male, sai, ci ho pianto/Ma siamo amanti come l'amianto/Un po' soffriamo se ci stiamo accanto". Concludiamo con la musica: Ariete è stata una bella scoperta del 2020. Le nuove generazioni (si tratta di una cantante di appena 18 anni) non si fanno molti problemi a parlare di dolore, malessere, depressione. Proprio lei, oltre alla citata "Amianto", che rimane la mia preferita, ha scritto e cantato "Stare male", in cui senza mezzi termini racconta del chiudersi in se stessi, delle paranoie e delle giornate rovinate: "È inevitabile pensare/Tutto fa un po' male/Ma fa anche del bene/Forse mi conviene/Stare a ricordare che quel che fa male/Poi diventa bene come le altalene". La parola "male" è molto utilizzata da Ariete, la troviamo anche nel pezzo "Avrei voluto dirti": "Io piena di paura/Paura di sbagliare/Nonostante i sorrisi/Andava tutto male". Buon ascolto, e alla prossima settimana!

Isabella Benaglia


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