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Omosessuali, pena di morte e discriminazioni razziali nella Cuba castrista: l'analisi di Ramonet

Mantova Festivaletteratura RamonetMANTOVA, 10 set. - L'auditorium del Seminario del Palazzo Vescovile è completamente affollato per l'incontro con Ignacio Ramonet e Francisco Lòpez Sacha sul tema di Fidel Castro, la sua leggenda e la sua eredità politica.

Sacha è un fiume in piena: col suo stile cubano introduce il giornalista spagnolo, autore di "Fidel Castro, autobiografia a due voci" (Cien horas con Fidel), e traccia un profilo del Comandante della rivoluzione cubana; un ritratto del giovane avvocato e politico, studente alla scuola dei gesuiti, che con Jose Martì nel cuore e una poesia di Neruda in testa, guidò il movimento politico militare "26 luglio" e creò un'esperienza unica nel continente latino-americano.

Sacha racconta con enfasi l'epica di un Fidel apostolo di una religione popolare, pronto a schierarsi contro la Chiesa, se questa non sta dalla parte dei poveri della terra. A Ramonet chiede direttamente se sia stato difficile stabilire un dialogo profondo con Fidel, e il direttore di Le Monde Diplomatique risponde con un semplice "no". Ramonet spiega che quando iniziarono le interviste preparatorie per il libro, nel 2003, lui e Fidel si conoscevano già da venticinque anni e un rapporto consolidato di fiducia. Castro aveva già ricevuto diverse proposte per la realizzazione di biografie, ma era sempre molto restio: solo al giornalista italiano Gianni Minà, al teologo Frei Betto e al sandinista Thomas Borge concesse delle interviste-biografiche, ma sempre basate su temi specifici; Ramonet sottolinea il fatto di averlo potuto incontrare nell'ultima fase della sua vita, quella del lucido ottantenne che riflette sul passato. Il ricordo appassionato è quello di quando avevano collaborato per la creazione del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, quando Fidel si appassionò a questo nuovo movimento, formato da migliaia di giovani che avevano una visione nuova del cambiamento. Fu lì, spiega il giornalista, che il leader cubano si sentì pronto per la biografia dicendogli: "Hey Ramonet, non voglio morire senza avere detto delle cose".

Sacha sorride e gli chiede se abbia avuto modo di fare domande polemiche a Fidel e con quali reazioni. Ramonet ricorda che Castro non lo ostacolò, né gli diede limiti nelle tematiche e il risultato interessò molto lo stesso popolo cubano. Il tema della discriminazione degli omosessuali è da sempre un aspetto controverso della rivoluzione e lo stesso Fidel non ne parlò mai apertamente. Nel racconto a due voci tra Fidel e Ramonet, il leader maximo fa autocritica e si assume infatti la responsabilità di quegli errori, compreso l'internamento dei gay durante il periodo più difficile dell'aggressione militare. Spiega che gli omosessuali avevano vita dura ovunque all'epoca e che, in questo senso, la Rivoluzione non fu capace di essere avanguardia. Allo stesso modo il tema della pena di morte segnò molto la discussione tra l'autore e Castro: Ramonet è ammiratore della rivoluzione, ma mai giustificherebbe questa pratica; Fidel contestualizza intellettualmente i fatti, parlando di uno Stato che vive sotto assedio, con attentati e violenze. La questione rimane aperta nella discussione, ma Ramonet ricorda che dopo quegli incontri una moratoria mise fine alle esecuzioni a Cuba.

E poi ancora il tema spinoso della discriminazione razziale, un problema che Fidel ammise di non avere affrontato compiutamente. L'autore dell'intervista spiega al pubblico del Festivaletteratura che Fidel pensava bastasse eliminare leggi discriminatorie per porre fine alle diseguaglianze, ma questo non era abbastanza.

Ramonet evidenzia la profonda preoccupazione di Fidel, fino all'ultimo dei suoi giorni, per le sorti del popolo cubano e dei poveri di tutto il mondo; il drammaturgo cubano Sacha annuisce e affida un ultimo ricordo al fatto che Fidel, fino alla fine, fosse convinto della potenza della cultura: racconta che nel difficile periodo del 1993, in piena carestia, Castro fece di tutto per salvare la cultura convinto che quella fosse uno strumento per resistere alle avversitĂ .

Emanuele Bellintani


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