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Legambiente, nuovo studio sull'inquinamento da rifiuti plastici galleggianti

Inquinamento Plastica Acqua1ROMA, 10 giu. – In base ai dati di uno studio sperimentale realizzato da Legambiente, il rischio delle plastiche in mare non è legato solo alla loro presenza e agli effetti che hanno sulla fauna marina, ma soprattutto al fatto che possono anche veicolare sostanze tossiche che vi si accumulano sopra.

Questa la principale conferma che arriva dallo studio di Legambiente, in collaborazione con l'Università di Siena, sui rifiuti di plastica galleggianti in mare (in particolare buste, teli e fogli di plastica, oggetti del campionamento) e sulle sostanze contaminanti come organoclorurati (PCB, DDT, HCB) e mercurio.

I risultati dello studio sono stati diffusi alla vigilia della Giornata mondiale degli oceani. Una data importante, quella dell'8 giugno, per l'associazione ambientalista che un anno fa a New York, nell'ambito della conferenza mondiale sugli oceani, ha presentato un impegno comune con l'Ateneo toscano (Voluntary Commitment #OceanAction20169), sul tema del marine litter. Lo studio, primo nel Mediterraneo, apre la riflessione su un tema nuovo, anche alla luce degli effetti sulla catena alimentare legati all'ingestione delle plastiche in mare. I risultati, seppure preliminari, tracciano una quadro complessivo poco roseo per il mare italiano.

Il dato più importante che emerge riguarda la presenza di sostanze inquinanti: su tutti i campioni analizzati sono presenti contaminanti come mercurio, policlorobifenili (PCB), DDT ed esaclorobenzene (HCB). La concentrazione di queste sostanze varia in base all'area di campionamento, la natura del polimero, il grado di invecchiamento del rifiuto. Il campionamento ha riguardato una sola tipologia di plastiche galleggianti le "sheetlike user plastic" (buste, fogli e teli), che rappresentano la frazione più abbondante del marine litter. A confermarlo anche i dati raccolti da Goletta Verde nel 2017, durante la navigazione lungo le coste italiane, affiancata dai ricercatori del progetto MEDSEALITTER che prevede la sperimentazione di metodologie per l'osservazione dei rifiuti galleggianti, con l'obiettivo di sviluppare protocolli comuni per la quantificazione del marine litter. Buste, teli e fogli di plastica, costituiscono il 65% dei rifiuti galleggianti monitorati e avvistati nel 2017 dall'imbarcazione ambientalista. Il 25% di questi è stato trovato nell'Adriatico centrale.

Il problema del marine litter e dei rifiuti galleggianti lungo le coste italiane sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti, come dimostrano i dati che raccogliamo ogni anno con Goletta Verde. "La collaborazione tra Legambiente e Università di Siena che unisce il mondo della ricerca scientifica e quello del volontariato ambientale per condurre studi e sensibilizzare sul tema del marine litter - spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -, ha permesso di realizzare questo importante studio, il primo a livello del Mediterraneo. I dati dimostrano con evidenza che il rischio connesso con i rifiuti plastici presenti nell'ambiente marino non deriva solo dalla loro presenza, ma anche e soprattutto dal fatto che fanno da catalizzatori di sostanze tossiche che finiscono poi nell'ecosistema marino, fino al rischio di entrare nella catena alimentare. Purtroppo, la cattiva gestione dei rifiuti a monte e la maladepurazione restano la principale causa del fenomeno del marine litter. Prevenire il fenomeno e rimuovere le plastiche che oggi sono disperse in mare e sulle spiagge è dunque una priorità, non solo per la salvaguardia ambientale ma anche per la tutela della salute".

"I risultati prodotti, seppur parziali, dimostrano la necessità di approfondire i rischi sul biota e i possibili rischi sulla rete trofica legati alla presenza di plastiche in mare e all'accumulo di sostanze inquinanti sulla superficie dei macrorifiuti galleggianti. – dichiara Maria Cristina Fossi, Professore ordinario di ecologia ed ecotossicologia all'Università di Siena – Un aspetto molto interessante, infatti, sarebbe quello di integrare i dati ottenuti sulla tipologia di macroplastica e i relativi dati ecotossicologici, con quelli oceanografici sulla densità dei rifiuti galleggianti nelle diverse aree analizzate. Questo consentirebbe di individuare delle aree "hot spots" per una successiva analisi di rischio, soprattutto in relazione alla possibilità che queste aree coincidano con quelle di foraggiamento delle specie marine, come ad esempio le tartarughe marine."

(askanews)


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