Siria, la geopolitica 'giocata' sulla vita di un popolo
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- Creato 20 Ottobre 2019
- Pubblicato 20 Ottobre 2019
L'attacco militare della Turchia in Siria ha suscitato un'immediata e giustificata condanna nei confronti del governo guidato da Erdogan e una convergenza di solidarietà per il popolo curdo. Non è da meno lo sdegno di molti paesi per l'intempestivo ritiro delle forze armate Usa dall'area del conflitto.
Ma della critica Donald Trump non si cura più di tanto e le intenzioni del presidente americano potrebbero essere ancor più sottili di quanto non ci si immagini.
A insinuare il sospetto che la mossa di Trump sia di facciata è la tipologia dei proclami del presidente all'indomani del "tradimento" verso i curdi. Affermare che i curdi non meritano di essere protetti perché non contribuirono allo sbarco in Normandia nel lontano 1944 equivale a una battuta da bar. E rivendicare che gli Stati Uniti non si debbano occupare di piccole beghe fra tribù mediorientali è un paradosso storico per via dell'attenzione da sempre spasmodica degli stessi per la situazione geopolitica di quella regione.
Probabile invece che il carattere quasi grottesco di queste esternazioni non sia altro che la mascheratura di un gioco più grande.
In questi ultimi anni, almeno dal 2016, le relazioni fra gli Stati Uniti e la Turchia si sono fatte agitate per ragioni di varia natura. La protezione e la mancata estradizione di Fethullah Gülen prima e dopo il presunto o reale colpo di Stato in Turchia del 2016 è soltanto l'incidente di facciata di una tensione resa vividissima dai frequenti bilaterali tra Erdogan e Putin finalizzati a contratti di partnership di natura militare e genericamente economica.
A questo bisogna aggiungere le insofferenze di Washington per i rapporti cordiali che il presidente turco intrattiene con l'odiatissimo Iran di Hassan Rouhani e viceversa le relazioni tesissime di Ankara con i sauditi, che da parte loro sono invece i principali alleati degli Stati Uniti nell'area mediorientale.
Considerato tutto questo, nonché il repentino, inaspettato e altrettanto apparentemente risibile ammonimento dell'ultima ora di Trump alla Turchia contro un'azione militare prevedibile e annunciata, viene da domandarsi se il ritiro dei soldati americani non possa essere stato proprio una lucidissima mossa per indurre Erdogan esattamente alla guerra, prevedendone i risvolti.
In primis lo scatenarsi di una condanna unanime da parte dell'Onu, dell'Unione Europea e anche dell'opinione pubblica intera ai fini di una progressiva delegittimazione del presidente turco e di una destabilizzazione della sua leadership interna.
Del resto all'isolamento morale sta facendo seguito anche un embargo militare da parte di alcuni Paesi europei. Se così fosse, sarebbe un'azione di riassestamento dell'ordine geopolitico giocata crudelmente sulla pelle del povero e innocente popolo curdo.
(s.t.)
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